Facebook studia l’umore per rivendere pubblicità

Il quotidiano online “The Austrialian” è riuscito a mettere le mani su un documento interno di Facebook che studia come percepire l’umore dei ragazzini per vendere pubblicità targhetizzata…

Il documento rivela come vengono utilizzati algoritmi ad hoc per tentare di percepire quando i minori sono più vulnerabili e quindi più sensibili ad eventuali sponsorizzazioni lanciate sulle pagine Facebook.

Poter intuire lo stato d’animo di una persona può senz’altro facilitare la vendita di un prodotto. Certamente è possibile attirare meglio l’attenzione del soggetto, è lo studio effettuato da due dirigenti australiani di Facebook che analizzano gli stati d’animo di giovani utenti per comprendere come, quando e con quale tipo di pubblicità “colpirli” affinché reagiscano positivamente al prodotto proposto. Il documento riservato, di circa 23 pagine, è stato pubblicato dal sito “The Austrialian”.

David Fernandez ed Andy Sinn hanno creato degli algoritmi capaci di monitorare post, foto e interazioni di 6,4 milioni di utenti australiani e neozelandesi di 14 anni (l’età minima per iscriversi è 13). Questi bot (autentici robot in Internet) riuscirebbero a percepire sentimenti di paura, ansia, sfiducia, nervosismo dei giovani utenti e non solo, anche prevedere quando potrebbero ripresentarsi questi umori in un arco di tempo. Allo stesso tempo riuscirebbero a capire anche quando, invece, gli utenti sono pervasi dall’ottimismo. Sembra solo un gioco statistico, ma invece è oro puro per le aziende e i loro messaggi pubblicitari.

Perchè a Facebook interessa l’umore degli utenti

Ad esempio: in caso il ragazzino si senta triste o insicuro potrebbe essere più propenso ad acquistare dolci, iscriversi in una palestra o al contrario incominciare una dieta. Nel caso invece sia pervaso da un certo ottimismo potrebbe interessarsi ad un nuovo oggetto tecnologico, ad un viaggio, magari a dei jeans di marca. I pubblicitari professionisti lo sanno bene: gli eventuali clienti sono più propensi a prendere decisioni in momenti di vulnerabilità.

Il quartier generale a Menlo Park ha subito precisato che lo studio è vero, ma è solo uno ricerca e che non ha mai messo in pratica quel tentativo di rilevazioni. Questa la loro dichiarazione ufficiale: «Il report riprodotto in rete è solo la ricerca di un analista australiano. E’ in pratica uno studio per meglio presentare certi scenari alle aziende e su come le persone utilizzano Facebook. Ad ogni modo questa ricerca non rispetta i nostri processi di revisione e stiamo esaminando i dettagli”.

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La ricerca ha sollevato polemiche

Il documento, ad ogni modo, non era certo pubblico e segretato con un: “Confidential: Internal Only“. Poiché lo studio chiamava in causa dei minorenni, sono arrivate alcune polemiche sulla invasione della privacy delle persone, cosa non nuova per Facebook. Attualmente le aziende in Facebook hanno numerosi filtri da applicare alle proprie inserzioni pubblicitarie proprio per selezionare al meglio i “bersagli” da colpire con maggior efficacia. In Italia è possibile selezionare oltre ai classici gruppi di età, interessi, sesso ed altro, anche il filtro per “affinità multiculturale“, opzione che ha sollevato non poche polemiche all’estero (ed è stata eliminata).

Nel giugno del 2014, Facebook aveva pubblicato i risultati di un esperimento che aveva coinvolto circa 700 mila utenti registrando le loro reazioni a contenuti decisamente positivi o decisamente negativi. Lo scopo di quello studio? Analizzare i comportamenti degli utenti per poi meglio “centrare” gli spot pubblicitari.

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